La chiesa della Santissima Trinità fu edificata tra il 1587 e il 1590 per volontà dei fratelli Giuseppe e Francesco Majoni, commercianti in generi alimentari di Borgomanero, che trasferitisi a Roma nella metà del Cinquecento intrapresero una attività commerciale proficua che li rese in grado, sollecitati e incentivati dall’incontro con San Filippo Neri, di sostenere, rientrati a Borgomanero alla fine degli anni ottanta del Cinquecento, le spese per la costruzione della Chiesa e dell’annesso ospedale in sostegno alle necessità dei cittadini più indigenti e poveri di Borgomanero.
I fratelli Majoni, ispirandosi alle opere di carità svolte da San Filippo Neri che conobbero di persona, vollero istituire anche a Borgomanero la Compagnia della SS. Trinità sul modello di quella romana dello Spedale della SS. Trinità de Convalescenti et Pellegrini, fondata da San Filippo Neri nel 1547-48.
La Compagnia ebbe il compito di svolgere attività di assistenza soccorrendo i malati, gli infermi, i pellegrini, e doveva in particolare avere cura della chiesa che stava sorgendo accanto all’ospedale ove avrebbe svolto una attività devozionale con pratiche religiose. La Compagnia fu aggregata alla prestigiosa Arciconfraternita romana della SS. Trinità, con lettera del 14 giugno 1590, che concedeva gli stessi suoi privilegi e indulgenze.
Il 7 luglio 1590 la chiesa dedicata alla SS. Trinità fu consacrata dal vescovo Speciano durante la visita pastorale da lui compiuta a Borgomanero.

La facciata, inizialmente alta circa 9 metri, subì una ristrutturazione nel 1666, nel 1780, fu effettuata una seconda modifica, per armonizzarla con il complesso ospedaliero che era stato ingrandito in quel periodo. Sulla facciata, dove esistevano dipinti raffiguranti l’Annunciazione di Maria con il Padreterno e la Madonna Addolorata con il Cristo deposto dalla croce, e due angeli, furono collocate due nicchie laterali nella parte superiore con la statua della Madonna Annunciata a destra e l’angelo a sinistra, nel timpano triangolare fu collocata la testa in stucco di Dio Padre. Nella parte inferiore della facciata sono presenti due altre nicchie ospitanti le statue raffiguranti i Santi Pietro e Paolo. Sopra il portale venne posto un cartello con l’iscrizione Machinam gubernat Trinus et Unus. L’ultimo intervento sulla facciata fu il restauro attuato negli anni 1993-1994.

Il campanile risale al 1613.
La chiesa è ad una sola navata fatta a volta, lunga circa 15 metri, con l’altare di mattoni su cui è collocato un tabernacolino. La decorazione interna con stucchi è datata al 1666 opera dei maestri Francesco e Antonio Bianco di Chivasso. Alla fine del Settecento risalgono gli affreschi che decorano la chiesa. Tra le opere più significative spicca la pala d’altare raffigurante la SS. Trinità, opera di Antonio Crespi detto il Bustino. Nel 1876 fu posto in cima all’altare il deposito della reliquia di Sant’Anatolia. La volta del presbiterio fu affrescata nel 1877 dai fratelli Rinaldi di Ameno.

Pala d’altare raffigurante la SS.Trinità, opera di Antonio Crespi detto il Bustino (Busto Arsizio 1590-1630?)- secondo quarto del XVII secolo restaurata nel 1994
L’esecuzione del dipinto dovrebbe risalire ad una data successiva al 1626, quando l’inventario della Visita Pastorale non registra ancora la presenza del quadro. L’immagine della Trinità è rappresentata dalle figure di Dio Padre, a destra, e del Figlio, a sinistra, seduti sulle nubi, circondati da angioletti festosi; tra le due persone appare la colomba simbolo dello Spirito Santo.

Tela di San Francesco da Paola alla Corte del Re Luigi XI
Al centro della composizione è raffigurato il Santo in abiti monastici nell’atto di benedire la famiglia reale inginocchiata; il contesto in cui si colloca la narrazione la convocazione presso la famiglia reale di Francia di San Francesco chiamato in virtù della sua fama di taumaturgo per guarire Luigi XI, gravemente ammalato, ma il Santo invece della guarigione del corpo operò quella dell’anima, poiché predicendogli la morte imminente spinse il sovrano al pentimento per i propri peccati. La composizione si arricchisce di elementi simbolici: sulla sinistra sono raffigurate le tre virtù teologali attraverso tre figure femminili: la carità è rappresentata da una giovane donna che porge un cuore fiammeggiante sormontato dall’iscrizione “CHAS” (Charitas), la seconda sostiene un’ancora (la speranza) e la terza un calice con l’ostia (la fede). In alto, tra le nubi, è raffigurata la Santissima Trinità; l’immagine dell’angelo che scende dal cielo recando un bimbo fra le braccia potrebbe raffigurare il “dono divino” di un erede per i reali francesi.
San Francesco da Paola, frate ed eremita calabrese vissuto fra i secoli XV e XVI, era oggetto di particolare devozione nella chiesa della Santissima Trinità. Il dipinto viene citato per la prima volta nell’Inventario del 1758 ed è stato attribuito a Lorenzo Peracino (Cellio, 1710-1790), iniziatore di una dinastia di pittori che svolse un’intensa attività in Valsesia, nel Cusio e nel medio Novarese. In quest’opera la critica riconosce le sue doti di vivacità nel delineare le figure e nella ricerca dell’effetto scenico attraverso una composizione ricca di elementi simbolici e narrativi.